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30 nov 2016

Italo Calvino: GIOVAN BALENTO parte prima



C'era una volta in un paesetto, un ciabattino povero in canna che non faceva che tirar spago e rattoppar ciabatte. Si chiamava Giovan Balento ed era basso di statura ma grande di cervello. Un giorno, cucendo una scarpa, piff!, gli si ficca la lesina in un dito: - Ohi, ohi, povero me! - cominciò a gridare. I vicini sentirono, ma non si mossero perché di Giovan Balento a loro importava poco. Invece tutte le mosche del paese, incuriosite, corsero a vedere, ed entrarono in casa del ciabattino. Qualcuna gli si posò sul dito e succhiò quel po' di sangue che usciva, le altre videro un piatto di pastasciutta già pronto e ci si calarono sopra.
- cosa vogliono qui tutte queste mosche! - cominciò a gridare Giovan Balento, - alò, fuori! Fuori da casa mia! - e cercava di cacciarle via agitando la trappetta. Ma quelle, testarde continuarono a calarsi sul piatto di pastasciutta. Allora Giovan Balento menò uno schiaffo in aria così forte che ne fece un macello. E poi si mise a contare per terra quelle che erano cadute. Conta e riconta, ne trovò mille morte e cinquecento ferite: «Questo sì che è un colpo da maestro! - disse tra sé. - Tutti credono che io non sia buono a nulla, ma se mi ci metto, faccio anch'io
la mia figura!»
Prese uno stecco, l’intinse nell'inchiostro e scrisse su un palmo di tela, in grosse lettere: «Sono Giovan Balento, ne ammazzo mille e ferisco cinquecento», e si mise questa scritta in testa, appesa al cappellaccio.
I paesani, a leggere la scritta, scoppiarono dalle risa, e tutti gli domandarono: -  Quanti, Giovan Balento?
E lui: - Ne ammazzo mille e ferisco cinquecento!
Così, di bocca in bocca e di paese in paese, sì sparse la nomea di Giovan Balento. Successe che dopo un anno, in lontane contrade, si faceva il nome di Giovan Balento come d'uno dei più fieri paladini del Regno.
Intanto, il ciabattino, abbandonati spago, lesina, pece, trincetto e sgabello, se n'era partito per il mondo in cerca di fortuna. Viaggiava su un somarello tutto orecchie e stinchi, e non aveva né bagagli né un soldo in tasca. Dopo tre giorni che cavalcava per il bosco, arrivò a un'osteria. Appena fu vicino, cominciò a gridare: - Arriva Giovan Balento, che ne ammazza mille e ferisce cinquecento!
L'osteria  era  piena  di ladroni.  A sentire il  nome di quell'eroe così famoso, i ladroni furono presi dalla paura e in fretta e furia, per porte e per finestre, scapparono via da tutte le parti, lasciando il pranzo già in tavola, armi luccicanti e buoni cavalli. Giovanni, senza fretta, scende dal somaro e si va a sedere a tavola. Viene l'oste:- Mangiate, mangiate,  illustre  paladino;  io  vi  devo  gratitudine eterna. La vostra sola presenza m'ha sbarazzato da una banda di ladroni.
E Giovan Balento, con la bocca già piena,  senz'alzar gli occhi dal piatto: - Eh, ho fàtto di ben altro!
Quando fu sazio, scelse il cavallo più bello, quello del Capo-ladrone, montò in sella e disse all'oste: - Se mai avete bisogno d'aiuto, fatemi un cenno. Finché Giovan Balento non sarà morto, nessuno deve osare di farvi torto!- Spronò, e partì al galoppo, tra gli inchini dell'oste e dei suoi servitori.
Ora, era la prima volta che Giovanni montava a cavallo. Si teneva stretto con le ginocchia e gli pareva  d'esser sbalzato in aria a ogni passo. «O le mie lesine, - diceva tra sé, - o il mio spago, cos'ho fatto ad abbandonarvi!» Ma, viaggia, viaggia, imparò a stare in sella, e in ogni paese era ricevuto con grandi onori.
Ed ecco che capitò al Paese dei Giganti. I Giganti, grossi come castagni e alti come pioppi, appena lo videro spalancarono le loro bocche da forno, sbatterono le mascelle, fecero segno di volerselo mangiare vivo in un boccone. Giovanni tremava come un giunco.

Ah, tu sei Giovan Balento che ne ammazza mille e ferisce cinquecento! - gridò il Capo-gigante. - Vuoi batterti con me? Vieni, traversa il fiume.

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