Un ragazzo orfano viveva in un villaggio
indiano sulle rive del grande fiume, in una capannuccia di fango. Non era molto
robusto, non sapeva ancora cacciare perché era troppo giovane e così, per
mangiare, doveva chiedere un boccone a questo e a quello.
C'era chi non voleva
dargli niente e gli diceva: “Vattene buono a nulla, mangia a ufo! Perché dovremmo
sprecare del buon cibo per te che non sei buono a nulla?”. Ma c'era anche chi
cercava di aiutarlo, come il capo della tribù, che ora gli dava un buon pezzo
di carne, ora una focaccia, ora un paio di mocassini. In quei tempi lontani gli
indiani non avevano cavalli, il Grande Spirito si era dimenticato di darglieli,
perciò andavano a piedi e, se c'erano dei pesi da portare, usavano i cani o se
li mettevano in spalla.
Ogni primavera, quando le prime mandrie di bisonti
giungevano nella prateria, gli indiani lasciavano il villaggio, si mettevano in
caccia per procurarsi carne e pellicce e stavano lontani per lungo tempo. Il
ragazzo restava solo, non sapeva come arrangiarsi per mangiare e diventava
sempre più debole e più stanco. Com'era triste aggirarsi tra le capanne
deserte! E così accade anche quella primavera. Una mattina all'alba la
sentinella che stava di vedetta in cima a una collina lanciò un grido: “I
bisonti! Arrivano i bisonti! In pochi minuti il villaggio si svuotò. I
cacciatori, con lance, archi e frecce, correvano verso la prateria avvolti in
una nube di polvere. Il ragazzo si sedette sulla soglia della sua capanna,
pensando a quanto sarebbe stato bello starsene con gli altri, cacciare, affrontare
il pericolo tutti insieme.
Era così abbattuto che si mise a piangere
disperatamente. Grosse lacrime gli scivolarono sul viso e caddero nella polvere
del terreno. D'improvviso gli sembrò di udire una voce che gli diceva: “Non
rattristarti così, fai qualcosa piuttosto! Si guardò intorno, stupito. Chi
aveva parlato! Perché! E che cosa poteva fare lui, così debole! Ai suoi piedi
la polvere bagnata di lacrime si era trasformata in fango. E quel fango di
suggerì un'idea. Ecco, avrebbe modellato qualcosa! Un cane, magari si disse.
Così non mi sentirò più tanto solo. Raccolse una manciata di quel fango e
cominciò. A quel punto, accade qualcosa di davvero strano: Invece delle corte
zampe del cane, ecco che le sue mani stavano modellando quattro zampe lunghe e
agili, munite di zoccoli! E anche la testa non gli somigliava per niente a
quella di un cane, era più lunga, con le orecchie aguzze, e sul collo c'era
qualcosa che sembrava una criniera. La schiena poi, molto robusta, finiva con
una lunga coda folta che non aveva niente di Canino. Il ragazzo guardò la
strana bestia che aveva fatto, sospirò e mormorò: “Forse mi sono distratto. Proverò di nuovo. Ma
anche questa volta dalle sue mani uscì un animale identico al primo allora li
poso a terra tutti e due, l'uno accanto all'altro: sembrava che volessero
correre via, galoppare lontano. Che cosa strana, stranissima! D'improvviso il
ragazzo si sentì piombare addosso una grande stanchezza, chiuse gli occhi, si
addormentò e fece un sogno. Sognò il Grande Spirito che gli sorrideva e gli : “Sono
stato io a farti modellare quei due animali che si chiamano cavalli e che
servono sia per portare pesi, sia per viaggiare veloce sulle loro groppe. Però
adesso sono troppo piccoli: “Per farli crescere in fretta e bene, per farli
diventare grandi come quelli che hanno i visi pallidi, portali in riva al Grande
Fiume lasciali pascolare per quattro giorni interi. Poi il Grande Spirito
tacque e scomparve in una nuvola. Il ragazzo si svegliò, afferrò le due
statuette di fango e le portò in riva al Grande Fiume, là dove l’erba cresceva
più verde e alta. Immediatamente, quelle due creature che il Grande Spirito
aveva chiamato “ cavalli”, diventarono vive, nitrirono e si misero a mangiare
l'erba. E ad ogni momento che passava, diventavano un po' più grandi. Al
tramonto il ragazzo condusse i cavalli al villaggio li mise al riparo dal
freddo della notte dentro la sua capanna. All'alba del giorno dopo li riportò
al fiume e li vide mangiare e crescere tanto che, quella sera, non riuscirono
ad entrare nella capanna di fango e trovarono posto in quella del capo tribù
che era molto più spaziosa. Lo stesso accade il terzo giorno. La mattina del
quarto, il ragazzo fece una galoppata nei dintorni non si era mai sentito tanto
felice e importante. Ora la gente del villaggio non lo avrebbe più disprezzato,
considerato un buono a nulla! Ed era tanto eccitato che dimenticò l’ordine del
Grande Spirito di far pascolare gli animali per quattro interi giorni, in modo
da farli diventare grandi come quelli dei Visi Pallidi. E poi, a lui,
sembravano giò così grandi e forti!
Ora avrebbe raggiunto i cacciatori nella
grande prateria per mostrare loro quello che era riuscito a fare. Non vedeva l’ora
di sentire le loro esclamazioni di meraviglia nel vedere quei nuovi animali!
Nella prateria c'erano molte tracce di bisonti in fuga e, seguendole, il
ragazzo raggiunse la sua gente. Il viaggio era stato breve, in groppa a uno dei
cavallini che correva, mentre l'altro lo seguiva con la criniera al vento.
Quando il capo tribù e i cacciatori videro arrivare il ragazzo con i due
animali, gli corsero incontro, sbalorditi, e dopo che lui ebbe raccontato
tutto, lo acclamarono e dissero che era il ragazzo più in gamba di tutto il
paese, altro che un buono a nulla !
Dall’alto delle nubi il Grande Spirito
osservava la scena ed era molto arrabbiato perché il ragazzo non gli aveva obbedito, non aveva fatto pascolare i cavalli per quattro giorni e così quelli
non erano cresciuti quanto lui voleva ed erano più piccoli dei cavalli dei Visi
Pallidi. Poi riflettè un po' e pensò che, dopo tutto, quei cavallini sarebbero
stati più veloci degli altri più adatti alla caccia e meno visibili da lontano,
tra le alte erbe della prateria. Allora sorrise e dimenticò la sua rabbia. Da
quel giorno i piccoli cavalli degli indiani si chiamarono “ Pony ” che significa
proprio “ piccoli cavalli”. Il ragazzo che su suggerimento del Grande Spirito
li aveva portati alla sua gente crebbe, diventò grande e forte, il cacciatore
più bravo di tutti, e quando il capo della tribù morì prese il suo posto e
governò saggiamente per molti, moltissimi anni.
Racconto
tratto da “Fiabe e leggende degli Indiani d’America” di Rossana Guarnieri
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