In un villaggio della Scozia c’era una volta Pennilino, un fornaio
abilissimo nel far torte e focacce, tanto che vendeva solo quelle e lasciava
che il pane lo facessero e lo vendessero altri due fornai del luogo.
Perché Pennilino era bravo, si, anzi bravissimo, ma pigro, pigro, così
pigro che qualche volta avrebbe lasciato volentieri spegnere il forno a metà
cottura delle torte pur di non durar fatica ad aggiungere legna o a sventolare
un po’ la fiamma.
E non era questo il suo solo difetto. La sua avarizia era nota in tutto il
villaggio e nessuno osava chiedergli un favore, perché senza interesse
Pennilino non alzava neppure un dito.
Un giorno aveva cotto tre torte. Due le vendette al mattino. La terza
rimase in vetrina e a metà pomeriggio nessuno si era ancora offerto di
acquistarla. Passo un ciabattino ambulante davanti alla bottega gridando:
Accomodo scarpe! Le accomodo bene! Chi ha scarpe da riparare? Ve le rendo
come nuove!
«E quello, chi l’ha mai visto?» disse Pennilino tra sé. «Chissà da che
paese viene? Ma tanto che me ne importa? Io non ho scarpe da riparare»
Dette un’occhiata dall’interno della vetrina e vide il ciabattino che
guardava con occhi avidi la torta esposta. Dopo un poco il ciabattino fece il
suo ingresso nella bottega.
Avete scarpe da riparare? – chiese.-
Faccio prezzi buoni e accetto in cambio altra merce oltre che denaro.
Quella torta per esempio … Allora? Niente da risuolare?
No! – rispose secco Pennilino
E un bel paio di scarpe nuove in cambio di quella torta, vi piacerebbe come
affare? – e così dicendo tirò fuori dal sacco che portava su una spalla un bel
paio di scarpe rosse.
Pennilino le guardò: gli parvero proprio belle, ma non disse niente.
Le avevo fatte per il nano Dormimpiedi, ma poi non le ha più volute … -
proseguì il ciabattino e seguitava a mostrarle a Pennilino che le guardava
sempre più interessato.
«Potrei sempre rivenderle a qualche cliente» pensava il fornaio. «Una torta
si sciupa a star lì, un paio di scarpe no davvero!»
Allora affare fatto! – esclamo d’un tratto e, prese la torta dalla vetrina,
la porse al ciabattino che gli lasciò le scarpe.
Volle subito provarle. Si era già accorto che erano troppo grandi per lui,
eppure desiderava ardentemente infilarsele. Le calzò e … che meraviglia! Le
scarpe gli si adattarono ai piedi come se fossero state fatte sulla sua misura.
Sono arcicontento! – esclamò ad alta voce Pennilino. – E’ il caso di bermi
un bicchiere di vino e fumarmi un buon sigaro, standomene ben disteso in
poltrona, in modo da vedermi meglio i piedi!
Stava per chiudere bottega e versarsi il vino quando sentì le scarpe che
gli serravano le dita e i calcagni, come se all’improvviso fossero diventate
strettissime.
Ohi, ohi! Che succede? – si lamentò e fece per togliersele, ma non vi
riuscì. Sembrava che le scarpe gli si fossero serrate ai piedi. Ad un tratto
sentì una vocina dal basso:
Come si fa a chiuder bottega quando è ancora giorno? E non vedi com’è
sudicio il forno? E il pavimento, quant’è che non lo spazzi?
Poi, come conclusione, la vocina prese a cantare:
Corri, corri, datti da
fare!
Pulisci, spolvera, non
ti fermare!
Intanto le scarpe gli stringevano le dita dei piedi a più non posso.
«E se dessi retta a questa vocina?» pensò Pennilino afferrando una scopa.
La stretta dolorosa si allentò e via via che egli spazzava il pavimento
sembrava che le scarpe si allargassero.
Quando Pennilino ebbe ripulito a puntino anche il forno, gli parve di avere
ai piedi un paio di comode pantofole.
«Ora sì che posso chiuder bottega e cucinarmi la cena» pensò.
Mise il catenaccio alla porta, fece per prendere una pentola quando …
rieccoti la solita stretta dolorosa ai piedi! La tortura ricominciò insieme
alla vocina che diceva:
Come si fa a mangiare in una casa dove non è stato rifatto neanche il
letto? Hai ancora i piatti sporchi di ieri ammonticchiati sull’acquaio! – e concluse
canterellando così:
Corri, corri, datti da
fare!
Pulisci, spolvera, non
ti fermare!
Pennilino capì subito qual era il rimedio e si mise a lavoro con lena. In
mezz’ora o poco più la sua casetta sembrava uno specchio. Le scarpe, intanto,
erano tornate comodissime.
Quando se le tolse, sul punto di andare a letto, riuscì a sfilarle dai
piedi con facilità.
Dormì un sonno profondo e, il mattino seguente, scendendo dal letto, voleva
mettersi i suoi stivaletti di tutti i giorni, ma le scarpette rosse … zac! Con un
volo gli si infilarono in tutti e due i piedi immediatamente.
Zitto zitto, Pennilino preparò tre
torte come il giorno prima e a metà mattina ne aveva già vendute due. All’ora
di pranzo capitò in bottega una vecchina che vendeva agli. Si avvicinò al banco
e chiese:
Vorrei due fette di quella torta in vetrina.
No! – rispose Pennilino. – O tutta o nulla.
Ma io ho solo due soldi e non sono sufficienti per comprarla tutta.
E brava la mia donnetta! Così volete che si sciupi quello che resta in
vetrina, vero?
Mentre parlava sentì che le scarpe si facevano strette, ancora più strette
del giorno prima, e udì una vocina che diceva:
Vergognati, avaraccio! Dalle le due fette e falla finita! – intonando, come
conclusione, un’altra canzoncina:
Taglia, taglia, non
esitare!
La torta è grande: non
risparmiare!
Siccome non sopportava più quel dolore tremendo ai piedi, Pennilino disse d’un
fiato alla vecchina:
Vi darò le due fette – e gliele porse velocemente.
La vecchina lo ringrazio, pagò con i due soldi che aveva e uscì.
Le scarpette rosse allentarono la stretta e, dopo poco, ritornarono più
comode, ma non comodissime. Con la punta di un piede Pennilino fece il
tentativo di sfilarsene una dal calcagno, ma era come se l’avesse incollata
addosso.
In quel momento passavano davanti al negozio tre bambini e Pennilino di
invitò a entrare.
Vi andrebbe una fetta di torta – chiese loro e, senza aspettare che
dicessero di si, cominciò a tagliare tre fette grossissime. I bambini stavano
lì, ad occhi spalancati, senza parole.
Quando Pennilino mise in mano a ciascuno di loro un gran pezzo di torta, se
la dettero a gambe senza neppure dir grazie, per timore che se ne pentisse e lo
rivolesse indietro.
Pennilino rise di cuore e disse tra sé:
Stasera cenerò con l’ultima fetta rimasta; la bottega è pulita, la mia casa
anche, ed io mi sento proprio contento.
Non avvertiva più alcun dolore ai piedi, anzi, gli pareva che le scarpette
glieli massaggiassero dolcemente, tanto ci stava comodo e caldo. Quando andò a
letto, quella sera, gli fece quasi dispiacere togliersele.
«Non si sa mai che può capitarmi in bottega … » Diceva tra sé pensando alla
visita dei tre bambini del giorno prima.
Scese dal letto, cercò le scarpette rosse, ma non le trovo. Frugò da tutte
le parti, persino dentro il forno: invano.
Non le trovò quel giorno e neppure quelli che seguirono. Sentiva ogni tanto
un pizzicorino ai piedi, come ricordo di quelle strette violente, e conservò a
lungo nelle orecchie l’eco della famosa canzoncina, ma non rivide più né scarpe
né ciabattino. In compenso fu meno pigro, più generoso, e tanto, tanto più
felice
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