A un pover'uomo morì la moglie giovane e
lui restò con una bella bambina di nome Rosina. Ma lui dovendo lavorare non
poteva badarle, perciò si scelse un'altra donna come seconda sposa, e anche da
questa seconda ebbe una bambina, chiamata Assunta, che venne su bruttina. Le
bambine crebbero assieme, andavano assieme a scuola e in giro, e ogni volta
l'Assunta tornava a casa piena d'astio. - Mamma, - diceva a sua madre, - io con
la Rosina non voglio uscire più. La gente che c'incontra fa tanti complimenti a
lei, dice che è bella che sia rosata che è garbata, e a me dice che sono nera
come un tizzo di carbone.
Che cos'importa, se sei mora? - le
rispondeva la madre. - Nasci da me che sono un po' scura di carnagione. È
quella la tua bellezza.
Pensatela come volete, mamma, - replicava
l'Assunta. - Io a ogni modo con la
Rosina non ci esco più.
Vedendo sua figlia struggersi per l'invidia,
la ma che per lei avrebbe dato gli occhi, le disse: - Ma che ci, posso fare?
E l’Assunta: - Mandatela a pascolare le
vacche e datele una libbra di canapa da filare. Se torna alla sera con le
vacche affamate e senza la canapa filata perbene, picchiatela. Picchia oggi
picchia domani, diventerà brutta.
Benché un
po' a malincuore, la matrigna si
piegò ai capricci della figlia, e chiamata la Rosina le disse: - con l'Assunta
non occorre che ci vai più. Andrai a badare alle vacche e a fargli l'erba, e intanto filerai anche questa libbra
di canapa. Se torni a casa la sera senza che la canapa sia filata e senza che
le vacche siano satolle, ti farò vedere io. Patti chiari, amici cari.
La Rosina, che non era abituata a sentirsi
comandare a quel tono, restò ammutolita dallo stupore. Ma poiché la matrigna aveva già preso un bastone
in mano, non le restò ch e ubbidire. Andò nei campi con le vacche, con la rocca
piena di canapa, e per strada ripeteva: Vacchine mie! Come farò a segarvi
l'erba, se ho da filare tutta questa roccata di canapa? Qualcuna bisognerà che ci rimetta!
A queste parole una delle vacche più
vecchie voltò il muso e le disse: - Non sgomentarti, Rosina: tu falciaci l’erba
e noi ti fileremo e ammatasseremo tutta la canapa.
Basta che tu dica:
Vacchicina,
vacchicina,
Con la
bocca fila fila,
Con le
corna annaspa annaspa,
Fammi
presto la matassa.
Quando la Rosina ritornò, a buio, riportò
le vacche nella stalla ben pasciute, e in testa aveva un bel fastello d'erba, sotto
il braccio una matassa da una libbra di canapa filata. L’Assunta, a quella
vista, la rabbia se la mangiò viva.
Disse alla madre: - Domani mandatela di nuovo con le vacche, ma di canapa datele
due libbre, e se non la fila tutta, legnate.
Ma anche stavolta, bastò che la Rosina dicesse:
Vacchicina,
vacchicina,
Con la
bocca fila fila,
Con le
corna annaspa annaspa,
Fammi
presto la matassa,
e la sera le vacche erano satolle, il fastello
dell'erba raccolto e le due libbre di canapa filate e ammatassate.
Ma come fai, - le chiese l'Assunta, verde
di bile, - a fare tutte queste cose in una giornata!
- Cosa vuoi, - le disse la Rosina, - s’incontrano
sempre delle buone creature. M'hanno aiutato le mie vacchine.
L'Assunta corse subito dalla madre: -
Mamma, domani la Rosina tenetela in casa a far le faccende, che con le vacche
ci vado io, e datemi pure la canapa da filare.
Sua madre l'accontentò e l'Assunta andò con
le vacche. Teneva una bacchetta in mano, e per farle andar avanti, giù botte
sul groppone e sulla coda. Arrivata al prato
mise la canapa sulle corna delle vacche. E quelle, ferme.
- Avanti! Perché non filate! - gridava
l'Assunta, e giù botte con la sua bacchetta. Le vacche incominciarono a rigirare
le corna e fecero arruffare tutta la canapa, tanto che diventò un batuffolo di
stoppa.
L’Assunta non si poteva dar pace e un giorno disse alla madre: - Mamma,
ho voglia di mangiare raperonzoli. Stasera mandate la Rosina a coglierli nel
campo di quel contadino.
Sua madre, per contentarla, comandò alla Rosina
d’andare a cogliere i raperonzoli da quel contadino. - Come? - fa la Rosina. -
Volete che vada a rubare? Ma queste son cose che io non ho mai fatte. Senza
contare che il contadino, se vede qualcuno che gli entra nel campo così di
notte, mi spara dalla finestra!
Era proprio quello che sperava l'Assunta; e
le disse, perché ora aveva preso a comandarla anche lei: - Sì, sì, devi andare,
se no sono legnate!
Così la Rosina si mise ad andare per la
notte, e scavalcò la siepe, entrò nel campo del contadino, e invece dei
raperonzoli trovò una rapa. S'attaccò alla rapa, per sradicarla, e tira tira,
finalmente la strappò via, e scoperse un nido di rospi che era lì sotto, con cinque
rospette piccine piccine. - Uh, che carine! - fece e le prese in grembo,
facendo loro un mucchio di moine; ma una le cascò, in terra e si ruppe uno
zampino. - Oh scusami, rospina, non l'ho
fatto apposta! - disse.
Le quattro rospette che aveva fatto
accoccolare in grembo, vedendola così gentile, dissero: - Bella ragazza, sei gentile,
vogliamo ricompensarti. Che tu diventi la più bella del mondo e splenda quanto
il sole, anche quando è nuvolo. E così sia.
Ma la rospetta azzoppata brontolò: - lo no
che non la trovo tanto gentile: a me m'ha azzoppata, poteva star più attenta!
Che appena vede un raggio di sole si trasformi in una serpe, e non possa
mai ritornare donna se non entrerà in un forno infuocato.
La Rosina tornò a casa mezzo allegra e
mezzo spaventata e intorno a lei nella notte ci si vedeva come di giorno,
perché la sua bellezza mandava una gran luce.
La matrigna e la sorellastra quando la videro ancora tanto imbellita da splendere
come il sole, rimasero a bocca aperta. E lei raccontò loro tutto quel che le era successo
nel campo dei raperonzoli. - Di tutto questo io non ho colpa, - concluse. - Fatemi
almeno la carità di non mandarmi al sole, se no divento serpe.
Do allora in poi Rosina non usciva mai di
casa quando c’era il sole ma solo dopo il tramonto, o quando il cielo era nuvoloso.
E passava le giornate alla finestra, in ombra, lavorando e cantando. Da quella
finestra si partiva un gran chiarore, che si vedeva tutt'intorno.
Un giorno passò per strada il figlio del Re
e a quel chiarore alzò gli occhi e la vide. «Chi può essere una tal bellezza in
una capannuccia da contadini?» Ed entrò in casa. Così si conobbero, e la Rosina
gli raccontò la sua storia, e la maledizione che le pesava sul capo.
Il figlio del Re disse: - A me di quel che
potrà succedere non m'importa: voi siete troppo bella per stare in questa
capannuccia. Ho deliberato che diventiate la mia sposa.
Intervenne la madre: - Maestà faccia
attenzione, lei si mette in un impiccio.
Rifletta un po' sul fatto che la prima volta che la tocca un raggio di
sole, diventa serpe.
Questi non sono affari vostri, - disse il
figlio del Re - Mi pare che voi a questa ragazza le vogliate male. Ma io vi comando di mandarmela a palazzo: io
farò venire una carrozza tutta chiusa perché per la strada non la tocchi il
sole. Per voi, d'ora in avanti i quattrini non vi mancheranno certo. Arrivederci e siamo intesi.
La matrigna e l'Assunta, a denti stretti,
non potendo disubbidire al figlio del Re, si misero a fare con mal garbo i
preparativi per la partenza di Rosina.
Finalmente arrivò la carrozza, una di quelle carrozze all'antica, tutte,
chiuse, con solo un occhio in cima, e con dietro un cacciatore tutto in
fronzoli, con le penne sul cappello e la spada penzoloni. La Rosina entrò in
carrozza e la matrigna montò con lei per tenerle compagnia. Ma prima di salire,
aveva preso da parte il cacciatore e gli
aveva detto: - Galantuomo, se volete dieci paoli di mancia, aprite, l’occhio della
carrozza quando ci batte sopra il sole.
- Sissignora, - aveva risposto il cacciatore,
- come lei comanda.
La carrozza correva correva, e quando fu mezzogiorno e il sole ci batteva sopra
a picco, il cacciatore spalancò l’occhio e un raggio picchiò sulla testa della
Rosina, che subito si trasfigurò in
una serpe e fuggi via fischiando per il
bosco.
Il figlio del Re quando aperse la carrozza
e non trovò Rosina, e seppe quel che era successo, sgomento e lacrimante stava
per ammazzare la matrigna. Ma poi, gli dissero e gli ripeterono che il destino
della Rosina era quello, e che se non succedeva questa volta sarebbe successo
un'altra; e lui finì per rabbonirsi, pur rimanendo tutto triste e sconsolato.
Intanto i cuochi avevano già tutta la roba
nei forni e sui fornelli e sugli spiedi
per il banchetto di nozze, e gli invitati erano già tutti a tavola. Saputo che
la sposa era scomparsa, nondimeno pensarono: «Visto che ci siamo, il banchetto facciamolo lo stesso!»
E i cuochi ebbero ordine di scaldare il
forno. Un cuoco stava mettendo dentro al
forno acceso un fastello di stipa che gli avevano portato allora allora dal bosco,
quando vide che nel fastello c'era rimpiattata una serpe. Non
fece in tempo a levarla, perché il fastello aveva già preso fuoco. Lui continuava
a guardare nella bocca del forno per vedere la serpe, ed
ecco che dalle fiamme salta fuori una
ragazza senza vesti, fresca come
una rosa, splendente
più del fuoco e del sole. Il
cuoco restò come di sasso, poi cominciò a
gridare: - Correte!
Correte! M'è apparsa una
fanciulla nel forno!
A quel grido, il figlio del Re si precipitò
nella cucina, e dietro di lui tutta la
Corte. Riconobbe Rosina, la prese tra le
sue braccia, e così si fecero le nozze e Rosina visse da allora felice
e contenta e senza
più dispetti da nessuno.
(Montale Pistoiese)
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