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6 gen 2017

Italo Calvino: IL PALAZZO DELLA REGINA DANNATA




Viveva nei tempi passati una vecchia vedova che faceva la filatrice, e aveva tre figliole, filatrici pure loro. Per quanto s'affaticassero a filare mattino e sera, le tre filatrici non giungevano mai a mettere da parte un centesimo, perché il guadagno bastava appena alle loro spese. Intanto, alla vecchia venne una gran febbre, e in  due o tre giorni la ridusse in fin di vita. Chiamò intorno al letto le figliole tutte in lagrime, e disse: - Non piangete; sono vecchia e più che vecchia non si campa, sicché un giorno o l'altro vi doveva toccare di vedermi morta. Quello che mi rincresce è di lasciarvi così povere, ma avete un mestiere e potete campare; io intanto pregherò Dio che vi aiuti. Di dote non posso lasciarvi altro che i tre gomitoli di canapa filata che sono nell'armadio, - e detto questo,  la madre spirò.
Dopo qualche  giorno le sorelle  discorrevano  tra loro.
- Domenica è Pasqua, - dissero. - E non abbiamo da fare un pranzo come si deve.
Disse Maria, che era la maggiore: - Venderò il mio gomitolo e ci compreremo il pranzo - . Difatti, il giorno di Pasqua, portò il gomitolo al mercato. Era canapa filata come si deve, e lo vendette molto bene. Comprò pane, un quarto d'agnello e il vino. Tornava a casa con tutti questa roba, quando le corse addosso un cane, le addentò il quarto d'agnello e il pane, ruppe il fiasco, e scappò via, lasciandola mezza tramortita dalla paura. Maria tornò a casa a raccontare il fatto alle sorelle, e per quel giorno si sfamarono con un po'  di pane nero. -  Domani  voglio andare io, - disse Rosa, la mezzana, - vedremo se il cane mi darà noia.
Andò, vendette  il suo gomitolo,  comprò  una  coratella, il pane e il vino, e s'avviò a casa  per  un'altra strada.  Ed ecco che quel  cane corse addosso anche a lei, portò via la coratella e il pane, ruppe il fiasco e scappò. Rosa, che era più coraggiosa di Maria gli corse dietro, ma non poté raggiungerlo e tornò  a casa trafelata, a raccontare tutto alle sorelle. Anche quel giorno bisognò che facessero pranzo col pane nero.  -  Domani ci andrò io,  -  disse  Nina, la più piccola, - e vediamo se il cane riesce a farla anche a me.
La  mattina dopo, più  presto  delle altre volte,  prese il suo gomitolo, lo vendette e fece una buona provvista. Mentre tornava a casa per un'altra strada, le andò addosso quel cane, ruppe il fiasco e portò via tutto il resto. Nina prese a corrergli dietro,  e corri corri  lo  vide entrare in un palazzo. Nina pensò: «Se mi vede qualcuno di qui dentro, gli dirò del cane che ci ha rubato il pranzo per tre giorni  e  mi  farò  ridare  il  danaro»,  e  così pensando entrò.
Salì le scale e c'era una bella cucina col fuoco acceso, e roba che bolliva in pentole e in tegami e uno spiedo con un quarto d'agnello. Nina alzò il coperchio d'una pentola  e ci  vide la carne che aveva  comprato poco prima; guardò in un tegame e vide cuocere la coratella; nella madia c'erano i tre pani. Continuò a girare la casa e non vide anima viva; ma in tinello c'era una tavola apparecchiata per tre. «Pare proprio che ci abbiano apparecchiato il pranzo, - pensò Nina, - e con la nostra roba, per giunta! Se ci fossero le mie sorelle mi metterei a tavola!»
In  quel  momento  senti  passare   un   barroccio   per   la strada e s'affacciò alla finestra e siccome il barrocciaio era uno di sua conoscenza, lo pregò d'avvisare le sue sorelle che le aspettava li e che c'era pronto un bel pranzo.
Quando le  sorelle  arrivarono,  Nina raccontò loro ogni cosa e disse: -  Mettiamoci a  tavola. Se vengono i  padroni, spiegheremo che mangiamo del nostro.
Le sorelle non si fidavano tanto, ma la fame stringeva dappresso, così si misero a tavola. Era venuto buio, e d'improvviso le tre ragazze videro chiudere le finestre e accendersi i lumi. Non s'erano ancora riavute dalla meraviglia, quando videro il pranzo venire a posarsi da sé sulla tovaglia. - Chiunque sia che ci risparmia la fatica, - disse Nina, - noi lo ringraziamo. E ora, sorelle mie, buon appetito, - e addentò l'agnello.
Le sorelle, con la paura in corpo che avevano, masticavano a fatica, e si guardavano intorno aspettandosi che da un momento all'altro saltasse fuori qualche mostro. Nina invece diceva: - Se non ci volevano a pranzo qui, non dovevano apparecchiare per noi, accenderci i lumi, e servirci a tavola.
Dopo cena, cominciarono ad aver sonno e Nina le portò in giro per la casa, finché non trovarono una camera con tre bei letti preparati. - Ora andiamo  a dormire, -  disse.
-           O  piuttosto,  -  dissero le sorelle,  -  torniamo a casa nostra, perché qui abbiamo paura.
-         Brave grulle! - disse Nina. - S'è trovato il verso di star bene e dovremmo andarcene! Io per me vado a letto, sarà quel che sarà!
Le aveva già convinte a restare, quando dal fondo delle scale si sentì una voce:
-         Nina, fammi lume.
Le sorelle si spaventarono. - Gesummaria! Chi sarà?
-           Non ci andare, Nina!
-           Io ci vado, - disse Nina. Prese il lume e scese le scale. Si trovò in una stanza dov'era una Regina incatenata che buttava fuoco dalla bocca, dagli orecchi e dal naso.
-           Nina, dimmi: vuoi far fortuna? -  disse la Regina,
parlando tra le fiamme.
-           Si.
-           Ma bisogna che t'aiutino anche le tue sorelle.
-           Glielo dirò.
-           Ma bada che dovete fare cose terribili, e se vi viene paura morirete.
-    Le persuaderò.
-    Va bene. Apri quei tre cassoni: sono pieni di vestiti da regina, tutti d'oro e di gemme. Sappi che io ero la Regina di Spagna; m' innamorai d'un giovane di questa città ed è per colpa sua  che mi  trovo dannata. Ora, dopo  il male che m'ha fatto, vorrebbe sposarsi un' altra, ma io voglio che venga a soffrire con  me com'è giusto. Domani mettiti il mio abito, acconciati a mia immagine e somiglianza, e poi affacciati alla ringhiera con un libro in mano . Vedrai che a una cert'ora passerà quel giovane e ti dirà: «Signora,  gradisce una mia visita?» Tu digli di sì, invitalo a prendere il caffè, e dagli questa tazza avvelenata. Quando  cadrà  morto  portalo quaggiù,  apri questo 1' cassone, buttalo dentro, e accendigli intorno quattro candele.   Io  ero  ricchissima: questo è il libro dei miei   beni  col  quale  potrai  rilevarli  dalle  mani  dei fattori,  che ora mi  scroccano ogni cosa.
Nina  tornò su  e  raccontò  tutto  alle  sorelle.  -  Giurate di aiutarmi, se no guai a  voi! -  La  mattina  dopo si vestì da regina,  divenne  tutta simile alla morta e si affacciò  alla ringhiera sfogliando un libro. A una cert'ora sentì, un cavallo:  veniva  avanti  un  bel giovane e  si fermò a  guardarla.  Nina gli fece un  cenno di saluto.
- Gradirebbe   una visita,  Signora?
- Sì...
E il giovane smontò di cavallo e salì le scale.
-  Ora berremo assieme una tazza di caffè.
-  Volentieri .:.. Bevve dalla tazza avvelenata e cadde morto.
Nina chiamò le sorelle perché l'aiutassero a portar  giù il cadavere,  e perché quelle si rifiutavano,  disse: -  Se non venite  ammazzo anche voi! -   Lei prese il morto per il capo, le sorelle per le gambe, scesero le scale, e c'era il cassone  chiuso con  le quattro candele  accese ai lati. Le sorelle tremavano e volevano lasciar cadere il morto fuggire. -  Provate a scappare,  -  disse Nina, -  e  vedrete cosa vi faccio! - Le sorelle, che l'avevano vista all’opera, sapevano che non scherzava, e le obbedirono.
Nina aperse il cassone: dentro c'era la Regina seduta su un trono di fiamma. Le misero vicino il suo innamorato e lei lo prese per mano e gli disse: - Vieni con me all'Inferno, scellerato. Così non  m' abbandonerai ma più.
E in quel momento il cassone si rinchiuse e sprofondò sotto terra con un gran frastuono.
Nina soccorse le sorelle che s'erano svenute, le riportò su e le fece riavere. Poi rivendicarono tutti i beni dalle mani dei fattori e restarono padrone d' ogni cosa. Le sorelle dopo qualche anno presero marito e Nina  diede loro una dote da principesse; poi prese marito anche lei, e stette come una regina.


(Siena)

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