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28 set 2017

Italo Calvino: IL TIGNOSO (parte prima)




Un Re non aveva figli e ne era triste. In preda a questa tristezza, cavalcava per un bosco quando incontrò un signore su un cavallo bianco.
- Perché tanta tristezza, Maestà? – chiese il cavaliere.
- Non ho figli, - disse il Re, - e il mio regno si perderà.
- Se volete avere un figlio, - disse il cavaliere, continuando - firmate con me un contratto: che quando questo figlio avrà quindici anni, voi verrete qui nel bosco con lui e me lo darete.
- Pur di averlo, - disse il Re, - firmerei qualsiasi patto, - e così il patto fu firmato, e il figlio nacque. Era un bambino con i capelli d'oro e una croce d'oro in petto. Crebbe di giorno in giorno, sia in statura sia in sapienza. Prima dei quindici anni aveva già finito tutti gli studi, ed era esperto nell'arte delle armi. Quando mancavano tre giorni al compiersi dei quindici anni, il Re si rinchiuse nelle sue stanze e prese a piangere. La regina non sapeva darsi ragione di quel pianto, finché il Re non le raccontò del contratto che stava per scadere, e allora pianse anch'essa senza potersi più frenare. Il figlio vedeva i genitori in lagrime, senza capire, e il padre disse: - Figliolo, ora ti porterò nel bosco, e ti consegnerò al tuo padrino, che ha sancito con un patto la tua nascita. Così padre e figlio taciturni cavalcarono nel bosco. S’udì un altro scalpiccio di zoccoli, era il signore sul suo bianco cavallo. Il giovane passò al suo fianco, e senza dire parola, il padre piangendo si voltò e tornò indietro. Il giovane continuò a cavalcare a fianco del Signore sconosciuto, per luoghi del bosco mai prima percorsi. Finché non giunsero ad un immenso palazzo, e il signore disse: - Figlioccio, qui dentro abiterai e sarai padrone. Tre cose sole ti proibisco: d’aprire questa finestrella, d’aprire questo armadio, e di scendere le scuderie. Il padrino a mezzanotte usciva sul suo cavallo bianco, e non tornava che all'alba. Il figlioccio dopo tre notti, quando restò solo, fu preso dalla curiosità d’aprire la finestrella proibita. L’aperse: fuori della finestra c'era fuoco e fiamme, perché era la finestra dell'Inferno. Il giovane guardò nell'Inferno per vedere se trovava qualcuno che conoscesse: e riconobbe la sua nonna. Anche la nonna lo riconobbe e gli gridò di là in fondo: - Nipote, nipote mio! Chi t’ha portato qua?
E il giovane rispose: -  Il mio padrino!
- No, nipote mio, - disse la nonna, - quello non è il tuo padrino: è il Demonio. Scappa, nipote. Devi aprire l'armadio, prendere con te un setaccio, un sapone, un pettine. Poi scendi nelle scuderie e ritroverai il tuo cavallo. Fuggi, e quando il Demonio t’inseguirà, tu getta quei tre oggetti. Passerai il fiume Giordano, e allora non potrà più raggiungerti. Dopo un minuto, già il giovane fuggiva sul suo cavallo chiamato Rafanello. Quando il padrino tornò e non trovò né lui né il cavallo, né gli oggetti nell'armadio, se la prese con le anime dannate e fece un inferno nell'Inferno. Poi cominciò l'inseguimento del fuggiasco. Il cavallo bianco del padrino correva cento volte più veloce di Rafanello, e l'avrebbe certo raggiunto, ma il figlioccio buttò a terra il pettine e il pettine si trasformò in un bosco così fitto che il padrino dovette penare un bel pezzo per districarsi. Quando vi fu districato e riprese l’inseguimento, il figlioccio sì lasciò quasi raggiungere e poi buttò il setaccio: il setaccio si trasformò in una palude, da cui il padrino non riuscì a tirarsi fuori che a stento, dopo molto sguazzare. L'aveva quasi raggiunto per la terza volta, quando il figlioccio buttò il sapone: e il sapone si trasformò in una montagna scivolosa, che da ogni parte il cavallo bianco puntasse gli zoccoli, erano più i passi che faceva indietro di quelli che faceva avanti. Intanto, il figlioccio era giunto sulla riva del fiume Giordano, e spronò Rafanello a buttarsi giù nella corrente. Rafanello a nuoto lo trasportò all'altra riva, e intanto il padrino che aveva valicato la montagna, non potendolo raggiungere perché era già nelle acque del Giordano, si sfogava facendo scoppiare tuoni, fulmini, vento, pioggia e grandine. Ma già il giovane risaliva sull'altra riva e cavalcava verso la nobile città di Portogallo. A Portogallo, per non farsi riconoscere, il giovane pensò di nascondere i suoi capelli d'oro, e comprò da un macellaio una vescica di bue. Se la mise in testa, e così sembrava che fosse tignoso. Legò Rafanello in un prato, e nessuno poteva avvicinarsi a rubarlo, perché il cavallo, essendo stato nelle scuderie del Demonio, aveva imparato a mangiare i cristiani. Con la vescica in testa, il giovane passeggiava davanti al palazzo del Re. Lo vide il giardiniere, e saputo che cercava lavoro, lo prese per garzone. La moglie del giardiniere, quando il marito lo condusse a casa, cominciò a litigare perché non voleva in casa un tignoso. Il marito, per farla contenta, lo mandò a stare in una capanna di legno lì vicino, e gli disse che non doveva più mettere piede in casa sua. La notte, il giovane uscì zitto zitto dalla capanna e andò a slegare Rafanello. Si rivestì d’un abito rosso da Re, si tolse la vescica dal capo e la sua capigliatura d'oro splendette sotto la luna. A cavallo di Rafanello, si mise a fare gli esercizi per il giardino reale, saltando le siepi e le vasche, e faceva prove di destrezza come quella di gettare per aria tre anelli risplendenti che portava al dito medio, all'anulare e all'indice, dono di sua madre, e riprenderli sulla punta della spada. Intanto, la figlia del Re di Portogallo stava affacciata alla finestra a guardare il giardino sotto la luna; e vide questo giovane cavaliere coi capelli d'oro, vestito di rosso, fare tutti quegli esercizi.
“Chi può essere? Come è potuto entrare nel giardino? - si disse.

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